Rete del Lavoro Agricolo di Qualità. Manca solo la sezione territoriale di Bari

All’appello ora manca solo Bari. La Rete del Lavoro Agricolo di Qualità nella nostra regione si sta realizzando attraverso i suoi “nodi”, ovvero le sezioni territoriali attivate in ogni provincia. L’ultima, in ordine cronologico, è stata quella della BAT, insediatasi nelle scorse settimane dopo le numerose sollecitazioni di Fai, Flai e Uila rivolte alla Prefettura. Insediamento che segue quelli di Foggia, Brindisi, Lecce e Taranto. Stiamo sollecitando le istituzioni della Provincia di Bari per avviare un percorso per la costituzione della sede territoriale nel capoluogo barese, che rappresenta un pezzo fondamentale dell’economia agricola pugliese sia in termini di numero dei lavoratori che di aziende presenti.
Il lavoro nero si conferma la vera piaga dell’agricoltura pugliese. In Puglia il tasso di irregolarità accertate in agricoltura nel corso del 2018 si è attestato al 49,61% e se è anche vero che si attesta sotto la media nazionale (54% di irregolarità in agricoltura) non c’è da rallegrarsi. Le 817 pratiche ‘illegali’ analizzate in Puglia hanno riguardato 1.060 lavoratori cui si riferiscono le violazioni accertate. Ben 689 di questi 1.060 dipendenti agricoli, lavoravano senza un regolare contratto: ciò vuol dire che il 64% dei lavoratori non in regola offrivano la prestazione ‘a nero’. Il lavoro nero, nonostante gli interventi legislativi, è ancora una prassi consolidata che, purtroppo, continua a crescere nel comparto agricolo
Nei giorni scorsi su questo tema è intervenuto il Ministro per le Politiche Agricole, Alimentari e Forestali, Teresa Bellanova. che ha ribadito che va rafforzata la rete del Lavoro Agricolo di Qualità premiando le aziende virtuose. Senza toni polemici la ministra ha fatto notare che molte aziende denunciano la mancanza di manodopera e che, quindi, anche per questa ragione, sarebbe opportuno, a suo giudizio, affrontare la questione dei flussi migratori con serietà e lungimiranza.
Come Uila riteniamo importante e prioritario il rafforzamento della competitività delle aziende agricole sane che devono recuperare il gap nei confronti di competitor dediti a fenomeni illegali e criminosi. Bisogna investire sulla crescita, ma anche puntare a deburocratizzare e detassare le imprese, troppo spesso penalizzate dal fardello di carte e tasse. Solo così potremo spingere gli imprenditori onesti ad iscriversi alla Rete del Lavoro Agricolo di Qualità: parlando di strumenti concreti volti a dare supporto alla virtuosità nel comparto agricolo per creare la “filiera della legalità”. Bisogna porre al centro l’uomo, che sia imprenditore o lavoratore poco importa. Se l’imprenditore sente la propria impresa al riparo dagli stress del mercato e della concorrenza sleale, se non si sentirà sotto un asfissiante controllo, se sentirà la fiducia di una rete istituzionale ed istituzionalizzata concreta e pragmatica, sarà propenso ad osservare le norme e ad attivare protocolli eticamente orientati al riconoscimento del valore del lavoro agricolo. La Rete del Lavoro Agricolo di Qualità è il primo passo per creare una catena della legalità tra soggetti diversi, ma ognuno portatore di un punto di vista inedito su questioni complesse. Stricare il bandolo della matassa del caporalato non è complicato, è complesso! Serve una vera sinergia. Non quella sbandierata nei tavoli, nelle riunioni interministeriali, nei convegni e nelle convention. Serve una sinergia vera, performante. Che porti a risultati tangibili e che attivi strumenti efficienti per portare a soluzioni efficaci. Sul tavolo ci sono le questioni dell’intermediazione del mercato del lavoro, del trasporto dei lavoratori, della sicurezza nei campi, del rispetto dei contratti e dei diritti dei braccianti. C’è tanto su cui parlare, discutere, riflettere. Ma non si può farlo se non ci sono interlocutori disposti ad ascoltarsi. Se nella provincia di Brindisi ad oggi risultano iscritte nella Rete del Lavoro Agricolo di Qualità solo 4 aziende, significa che c’è tanto da fare per abbattere quel muro di diffidenza degli imprenditori.