Costi energetici mai così alti, rincaro delle materie prime, inflazione ai massimi da 40 anni a questa parte e “blocchi” dovuti ad una guerra che sta assumendo sempre più i contorni di una nuova guerra fredda con la prospettiva, più che reale, di una revisione forzata della globalizzazione (così come la si conosceva).
L’ inflazione vola all’8% e raggiunge l’8,3% per il cosiddetto “carrello della spesa” che colpisce direttamente le famiglie nei beni alimentari e in quelli di più largo consumo per la cura della persona. Un livello mai così elevato dal 1986, ben ampiamente sopra quello di guardia e che spinge il governo, anche sotto il pressing dei sindacati, a stringere su un pacchetto di interventi per salvare il potere d’acquisto dei salari in caduta libera e sostenere, con ulteriori misure, le retribuzioni magrissime dei lavoratori “poveri” in attesa del salario minimo.
I DATI DELL’INFLAZIONE – Secondo le stime preliminari dell’ISTAT, nel mese di agosto 2022 l’indice nazionale dei prezzi al consumo per l’intera collettività (NIC), al lordo dei tabacchi, registra un aumento dello 0,8% su base mensile e dell’8,4% su base annua (da +7,9% del mese precedente). L’“inflazione di fondo”, al netto degli energetici e degli alimentari freschi, accelera da +4,1% a +4,4% e quella al netto dei soli beni energetici da +4,7% a +4,9%. L’inflazione acquisita per il 2022 è pari a +7,0% per l’indice generale e a +3,5% per la componente di fondo. Secondo le stime preliminari, l’indice armonizzato dei prezzi al consumo (IPCA) aumenta dello 0,8% su base mensile e del 9,0% su base annua (da +8,4% nel mese precedente).
LE DIFFERENZE TRA GLI ANNI 70/80 ED OGGI – Sicuramente la presenza di una guerra ed i rincari delle risorse energetiche fanno balenare alla mente di chi l’ha vissuta la situazione degli anni ’70, anche se il blocco di allora, imposto dai paesi aderenti all’OPEC, non si può paragonare allo scontro tra i paesi più industrializzati dell’Occidente ed il nuovo “fronte unito” Russia/Cina con i loro paesi alleati “satellite”. Vero è anche che la dipendenza “spinta” da un unico paese fornitore (ieri i paesi OPEC per il petrolio, oggi la Russia per il gas) sta mettendo nuovamente l’Europa in una posizione sfavorevole, come lo fu allora. Nel frattempo, il mondo è cambiato: non ci sono più le politiche di pieno impiego e non c’è più il monopolio collettivo dell’OPEC su una quota così rilevante dell’energia consumata nel mondo.
E non si può neanche paragonare la situazione italiana di oggi a quella degli anni 80, soprattutto perché ad una emergenza prettamente nazionale si è sostituita una più globale che sta impattando tanto sugli USA che sull’Europa (certo con delta molto ampi). Se negli anni ’70 l’inflazione risultava trainata, oltre che dai prezzi dei prodotti energetici, dai prezzi dei prodotti industriali non alimentari; negli anni ’80, nonostante il verificarsi della seconda guerra petrolifera, i prezzi dei prodotti non alimentari crescevano meno della media generale, mentre l’azione di traino veniva svolta dai prezzi dei servizi privati, dalle tariffe pubbliche e dai prezzi amministrati, dagli affitti. Anche i prezzi dei prodotti alimentari, dopo le forti crescite della prima metà del decennio ’70, vedevano negli anni ’80 una dinamica molto più contenuta della media generale, fornendo un contributo importante in senso disinflattivo. Anche il costo del lavoro registrò nel decennio ’80 incrementi reali molto deboli (circa l’1% in media all’anno) e comunque molto inferiori rispetto alla crescita della produttività nell’industria.
IL PARADIGMA INTERPRETATIVO – Un grande elemento di discontinuità è quello del paradigma con cui ci si sta approcciando al tema “inflazione”. In una pubblicazione ormai datata (1987) Ugo Arrigo dell’Istituto per le ricerche sociali, difese (proiezioni alla mano) la sostanziale bontà delle politiche deflattive varate dal Governo con l’accordo dell’allora ministro Scotti ovvero il decreto legge del febbraio 1984 che stabiliva, tra le altre cose, il taglio di 4 punti di scala mobile e il blocco degli affitti. Ma come giustamente precisa il Segretario Generale della UIL, Pierpaolo Bombardieri oggi non abbiamo una scala mobile, perciò vanno rinnovati i contratti. E se il governatore Visco (che negli anni del Ministero Scotti era Membro del Comitato di Redazione delle pubblicazioni della Banca d’Italia per le aree “Contributi all’analisi economica”, “Temi di discussione” e poi Membro della Commissione per il monitoraggio dei prezzi presso il Ministero dell’Industria e Commercio) si affretta a scongiurare una “ricorsa tra inflazione e salari”, è pur vero che qualcosa va fatto per sopperire al crollo del potere di acquisto di lavoratori, pensionati e disoccupati. In Europa ormai la scala mobile resiste solo in Belgio, laddove il primo ministro liberale continua a procrastinare una riforma nonostante il pressing delle associazioni datoriali. Ma una politica seria, lungimirante e solida sui salari non più rimandabile in tutti i paesi europei, rimandando casomai una discussione sugli adeguamenti automatici o sui criteri ad assi sottostanti, si dia vigore ad un’azione di supporto concreta per i salari e le retribuzioni. E’ l’unica via per sostenere i lavoratori. Non ce n’è un’altra. La stagione dei bonus a cascata elargiti persino a notai o “notabili” è passato.