Il valore della formazione per il futuro dei lavori alimentari

Parto da un dato: anche se negli ultimi anni è in lieve flessione (-1,9%) il fenomeno dei ragazzi che sono senza occupazione e non cercano il primo lavoro è una criticità del nostro Sistema lavoro che va attenzionata. Purtroppo il numero dei Neet nella nostra regione è più alto rispetto a quello delle altre regioni ed interessa oltre il 30% dei giovani di età compresa tra i 15 e i 34 anni (in Italia la media si attesta sul 23,1%, quindi c’è un GAP importante).
Ecco perché ritenevo importante partecipare all’incontro informativo dal titolo “Agroalimentare, dal territorio al prodotto finito” organizzato a Sannicandro di Bari nell’ambito del ciclo “Verso la Strada Giusta”.
Come rappresentante della Uila di Bari ho fatto un focus sulla formazione nel nostro comparto. Parto sempre dai dati: la nostra è l’ultima regione in Italia per diplomati in un’età compresa tra i 25 e i 64 anni (solo il 52% possiede il titolo di studio secondario completo, a fronte del 71,3% dell’Umbria e del 70,8% del Friuli Venezia Giulia e di un gap sempre più ampio con il Centro-Nord).
Bisogna partire dai numeri per comprendere come un problema vada affrontato tenendo conto delle diverse variabili che intervengono: il fenomeno dei ragazzi che non si formano e non cercano lavoro dipende dalle difficoltà di natura scolastica e formativa (24,2%), di tipo lavorativo (23,5%), familiari (17,4%), dalla demotivazione e dal disorientamento (13,4%), da problemi economici (1,5%) e di socializzazione 1,5%).
Per questo il fulcro tematico di tutto il ragionamento verte sulla formazione, sul valore che diamo alla formazione e come la decliniamo rispetto al mercato del lavoro che insiste sul nostro territorio.
Nel comparto agroalimentare dalla formazione dipende la tenuta di tutto il comparto nel medio e lungo termine. In agricoltura non si parla solo di digitalizzazione e di sistemi di storage di dati utili per l’ottimizzazione delle pratiche in campo. L’altro giorno seguivo uno speech di un consulente per l’innovazione di una grande catena di retail di Milano il quale asseriva che nel 2026 già ci saranno sul mercato robot che grazie agli applicativi dell’intelligenza artificiale potranno svolgere mansioni adattandoti al contesto. Siamo passati da grandi impianti domotici a piccoli robot che potranno fare anche gli artigiani ed i lavori creativi. Dunque la domanda: ci sarà una sostituzione della manodopera? La risposta è semplice: no. Ma una cosa è certa, la manodopera non potrà fare ciò che faceva prima, dovrà specializzarsi, dovrà essere capace di gestire dati, flussi di informazione. Dovrà sapersi muovere in ambienti fisici, quanto artificiali perché dovrà lavorare con dispositivi di potenziamento dei propri sensi (i visori già li conosciamo da anni). Dunque serve formarsi, serve creare nuove professionalità, nuove competenze. Perché i lavoratori agricoli ed alimentari di domani dovranno fare cose diverse, e forse anche tutte insieme passando da mansioni puramente pratiche ad altre che necessitano di basi teoriche ed esperienze trasversali.
Il ruolo del sindacato, e noi come organizzazione ne siamo bene consapevoli, è quello di lavorare in sinergia con il mondo della scuola, dalle Università agli enti di ricerca passando soprattutto per gli ITS; coinvolgendo però le organizzazioni datoriali. La bilateralità è quel luogo dove già oggi organizzazioni sindacali e datoriali collaborano pragmaticamente su alcune questioni che riguardano la sicurezza, la previdenza ed anche la formazione. Anche nei Contratti, a tutti i livelli, stiamo cercando di valorizzare la centralità della formazione attraverso innovazioni contrattuali che aprano la strada al futuro.
La Uila si batte da tempo per un lavoro di qualità, affinchè il valore che le eccellenze dei nostri prodotti agroalimentari vengano equamente ripartite all’interno della filiera.
Quando si parla dell’importanza dell’agroalimentare in Italia si fa riferimento alla filiera agroalimentare estesa quella cioè che dall’agricoltura arriva alla ristorazione passando per l’industria di trasformazione alimentare, l’intermediazione e la logistica e naturalmente la grande distribuzione organizzata. Per l’Italia rappresenta il primo settore economico con un fatturato di 538,2 miliardi di euro (pari alla somma del Pil di Danimarca e Norvegia), un valore aggiunto di 119,1 miliardi, 3,6 milioni di occupati (pari al 18% del totale degli occupati in Italia) e 2,1 milioni di imprese.
Si tratta inoltre del IV settore economico su 245 in Italia per crescita degli occupati negli ultimi 3 anni. Sotto questo profilo fornisce un importante contributo all’occupazione giovanile (gli under 30 rappresentano il 18% del totale) e soprattutto l’occupazione femminile (le donne rappresentano il 62% degli occupati). Senza contare che nella filiera agroalimentare allargata è impiegato il 29% del totale occupati delle regioni del Sud».
Però sapete quale è la distribuzione del valore tra gli attori coinvolti? Pensate che su 100 euro di spesa alimentare delle famiglie solo 5,1 vanno alla filiera agroalimentare (il 32,8% copre i costi di logistica, il 31,6% costi del personale, il 19,9% le casse dello Stato). Ma soprattutto dei 5,1 euro su 100 che vanno alla filiera agroalimentare estesa il 43,1% va all’industria di trasformazione, il 19,6% all’intermediazione, il 17,7% all’agricoltura, l’11,8% alla distribuzione e il 7,8% alla ristorazione.
Come organizzazione sindacale noi ci battiamo per un lavoro più giusto, più equo e che offra prospettive di crescita, personale ed economica. La strada è lunga ed il percorso irto di ostacoli, ma la fiducia degli iscritti che ci permettono oggi di essere il primo sindacato agricolo in tutte le province pugliesi, in tutta la Puglia e in tutta Italia ci sprona ad profondere un impegno sempre più grande per un’azione incisiva.

GIANNI DIPINTO – SEGRETARIO UILA BARI