Quanto peso ha l’agricoltura nella rubrica di Governo?
Quanto peso hanno le problematiche di un settore nell’orientare le strategie, anche politiche, di un partito?
Sono interrogativi che, mai come oggi, diventano esercizi di pura retorica.
Pianificare a medio-lungo periodo non è mai stato un compito che ha trovato nelle azioni di Governo (qualsiasi Governo) una diretta corrispondenza, soprattutto quando si tratta di agricoltura. L’ultima crisi rappresenta l’emblema di un paradosso, tutto italiano. Sul fatto che l’Italia detiene un record di cui andare poco fieri (66 legislature succedutisi in 75 anni di democrazia, con una media di un Governo ogni anno e mezzo) non entro nel merito, poiché firme più illustri ne hanno scritto e ne scriveranno. Ma voglio riflettere sull’ennesima occasione mancata per poter pianificare al meglio il rilancio della filiera agroalimentare che, durante la pandemia, ha dimostrato le ottime performance che può registrare sia sul mercato interno che sul fronte dell’export, nonostante il blocco del canale HORECA. Come organizzazione sindacale se da un lato abbiamo plaudito agli obiettivi che il Ministero delle Politiche Agricole aveva posto nel Piano Triennale per la Lotta al Caporalato, dall’altro abbiamo ribadito che serviva programmare le attività e porre in essere azioni per dare piena operatività a quel Piano, auspicando una coerenza ed una sinergia delle strategie portate avanti dai diversi Dicasteri. La risposta, ahinoi, l’abbiamo avuta con la consegna del mandato da parte della Ministra. Ora, senza nulla togliere alla legittimità delle motivazioni alla base di questa scelta e di questa strategia politica, qui si vuole ragionare su una questione di tempestività. Vedendola dal di fuori, la sensazione è che ancora una volta sia mancata la voglia di ragionare sui contenuti di una visione con cui inquadrare il comparto agroalimentare. La sensazione è che ancora una volta si sia guardato all’agricoltura come un settore “da accontentare”, piuttosto che di un settore “da rafforzare”. Bene il veto sull’etichettatura incentrata sul Nutriscore, bene i programmi per la Rigenerazione del Salento. Bene anche la sinergia inter-istituzionale per difendere il Made in Italy e la nostra agricoltura in Europa e per razionalizzare il percorso verso una piena sostenibilità ambientale delle produzioni. Ma come sindacato siamo costretti a stigmatizzare, ancora una volta, un distacco della politica dal mondo reale. Il mondo di chi si sveglia anche alle 3 di mattina e che fa centinaia di chilometri per raggiungere i campi. Il mondo di chi è costretto a contare le giornate di lavoro per poter pianificare il proprio bilancio familiare. Il mondo di chi vede negarsi anche l’erogazione dei ristori che gli avrebbe permesso una boccata di ossigeno per dormire sereno qualche giorno in più. Il mondo di chi ha continuato a lavorare mettendo a rischio ogni giorno la propria vita e che, nonostante ciò, deve lottare quotidianamente per vedersi riconosciuti diritti che, troppe volte, vengono negati. E se oggi la politica è in difficoltà nel compattarsi su come affrontare le sfide future, pensi a quanti sono in difficoltà nell’affrontare il presente, gente che quando pensa al futuro al massimo pensa al dopodomani. E la Ministra ci scusi se come Uila abbiamo più volte ribadito che la misura per la regolarizzazione dei migranti, fuor di dubbio necessaria, non era la priorità. Un progetto bello nelle intenzioni, per alcuni versi anche romantico nella visione, ma che dimostrava una distanza dal mondo reale e i dati ci hanno dato ragione. Alle poche migliaia di pratiche andate a buon fine (quasi 3mila in Puglia), hanno fatto da contraltare le dinamiche perverse innescate dalla misura, con i caporali che hanno trovato un modo nuovo per far soldi attraverso la compravendita dei contratti di lavoro. La riflessione amara con cui oggi ci troviamo a fare i conti si basa sull’assunto che in agricoltura la politica dimostra, da anni, di non saper leggere i fenomeni in atto nel comparto. Siamo bravi a convocare tavoli interministeriali, a creare task force, a elaborare piani su piani come si fa con le torte. E poi? E poi la vera politica la si demanda ai sindacati, gli unici in grado di interpretare i bisogni delle categorie di riferimento e capaci di formulare proposte concrete.
Tuttavia la politica, troppo spesso, pecca di presunzione nel momento in cui deve stabilire le priorità. Un atto di presunzione che tante volte si traduce con: “noi sappiamo cosa è bene fare, al massimo ci confrontiamo sul come farlo”. Ecco, la sensazione, come vi dicevo è che ancora una volta ci stiamo trovando di fronte ad un “noi sappiamo cosa è bene per voi”, senza che nessuno si sia preso la briga di ascoltare chi poi, queste pianificazioni, le subisce!