L’agroalimentare, nella sua accezione di filiera allargata, è diventata la prima filiera produttiva del nostro sistema economico. Un fatturato di 538,2 miliardi di euro, un valore aggiunto di 119,1 miliardi di euro per 2,1 milioni di imprese con 3,6 milioni di occupati: è questo il valore della filiera estesa del food in Italia, che comprende agricoltura, industria di trasformazione, intermediazione, distribuzione e ristorazione.
La filiera agroalimentare è il primo settore economico del Paese, ed è, soprattutto, protagonista dell’economia del Sud Italia, occupando soprattutto donne e giovani, a differenza di altri comparti economici.
Un comparto che è letteralmente esploso nell’ultimo decennio: la dinamica dal 2000 vede, per l’agroalimentare, incrementi a doppia cifra per il fatturato (+39,95%), il valore aggiunto (+33,4%), l’occupazione (+11,2%), e a tripla cifra per l’export (+144,2%). Tutti dati in controtendenza rispetto all’andamento generale dell’economia italiana. In particolare l’export, che è aumentato dal 2011 al 2017 del 36,6%, pari a 41,3 miliardi di euro.
A trainare il balzo in avanti è, quindi, soprattutto l’export che “vale” nel 2019 quasi 45 miliardi. Però, poco tempo fa, i vertici di Federalimentare si affrettavano a precisare che la parte industriale “da sola” porta a casa 38 di questi 45 miliardi, una affermazione volta a sottolineare il peso dell’industria della trasformazione rispetto alla fase prettamente agricola.
Il settore agroalimentare è rimasto in piedi anche durante la pandemia, unico comparto a crescere per ovvie ragioni legate alle conseguenze del lockdown. Ed anche gli ultimi dati rappresentano un quadro stazionario, nonostante sia svanito quello che chiamano l’ “effetto scorte” che ha caratterizzato la prima parte dell’anno 2020.
A settembre è stata stimata, per le vendite al dettaglio di tutta l’industria italiana, una diminuzione rispetto ad agosto dello 0,8% in valore e dello 0,4% in volume. In calo le vendite dei beni non alimentari (-1,3% in valore e -0,7% in volume) mentre quelle dei beni alimentari sono rimaste sostanzialmente stazionarie (invariate in valore e in lieve crescita, +0,1%, in volume).
Dunque l’agroalimentare italiano, inteso come sistema integrato di filiere, è in piena salute e che, quindi, “fa” utili. Un recente studio ha dimostrato come la quota maggiore di utile si concentra nell’anello della trasformazione: su 100 euro spesi in prodotti alimentari quasi il 40% del valore di vendita viene riconosciuto alle imprese che lavorano la materia prima. Imprese che, quindi, creano surplus economico attraverso una fase che congiunge l’agricoltura al commercio. Un anello che, da solo, impiega il 16 % della manodopera di tutta la filiera integrata alimentare.
Dunque la domanda che sorge spontanea è questa: quanto vale il lavoro alimentare?
Quanto vale il lavoro di chi quotidianamente gestisce, soprassiede e coordina le operazioni di trasformazione del prodotto agricolo lavorato?
Quanto vale il lavoro di chi “crea valore” al prodotto Made in Italy di qualità?
La Uila sta profondendo sforzi importanti nel promuovere il Valore del Lavoro agroalimentare. Ciò è insito nella mission della nostra organizzazione, ma assume un significato ulteriore in questo momento storico.
Insieme, diamo valore al lavoro agroalimentare!