Le parole sono importanti. Ormai è una citazione che ha sua iconicità, ma mai come in questo momento abbiamo bisogno di dare importanza alle parole, proprio quando a queste ultime affidiamo il nostro presente e (sicuramente) il nostro futuro. Siamo in hangover dovuto all’abuso (mediatico e non solo) della parola “crisi”. Ok, 66 governi in 75 anni. Il più longevo (manco a dirlo) è Berlusconi con il suo secondo governo, ma la sentenza della statistica è netta: in Italia le legislature durano in media un anno e mezzo. Dunque, se tutti ricordano la caduta del Governo Prodi ad opera di Bertinotti, d’ora in avanti i memoir politici si arricchiranno di un’altra schermaglia firmata Renzi-Conte.
Ed è già sera… e c’è, nuovamente, CRISI.
E ci sentiamo tutti un po’ Ivano Fossati quando cantava “Non esco di casa/ no e no / fuori c’è la crisi.[…] La crisi ci aspetta/ giù al portone/ studia dove andiamo./ La crisi ci segue / come un granchio/ e non ci molla più.”.
Già! Non ci molla, più!
E pensare che l’etimo della parola poggia su una operazione prettamente agricola: krino in greco si riferisce all’operazione di separare, durante l’attività di trebbiatura, i chicchi di grano dalla paglia e dai loro involucri. Dunque, se vogliamo operare delle astrazioni, si tratta di separare l’utile dal superfluo. Separare i chicchi di grano dalla paglia, significa portare in bisaccia ciò che produce ricchezza dalla zavorra. Una scelta, quindi, da cui dipende la vita di una persona, di un individuo, di una comunità che tira a campare da quel chicco di grano. Invece nella cultura occidentale la crisi è diventata un “elemento strutturale” dell’Europa e dell’Occidente, come sostiene Cacciari. Paradossalmente dal significare una scelta, un atto di discernimento, la parola crisi è andata ad indicare uno stato indotto dalla necessità di operare una o più scelte: “Perturbazione o improvvisa modificazione nella vita di un individuo o di una collettività, con effetti più o meno gravi e duraturi”. Strana, ma anche interessante questa evoluzione (o involuzione) semantica del termine. E così, come scrive Massimo Sebastiano, siamo perennemente in crisi: “crisi di nervi, crisi di pianto, crisi di mezza età, crisi della coppia, della famiglia, del settimo anno, di coscienza, di identità, spirituale, sistemica, dei valori, del 1929, monetaria, congiunturale, energetica, demografica, abitativa, dinastica perfino”. Ma la crisi, ci vogliono far pensare che sia una cosa buona, una occasione! Tutto merito (o colpa) di Einstein (in “Come io vedo il mondo” del 1931) e di Cacciari che ha fatto da cassa di risonanza al suo pensiero (con Krisis del 1976), perché la crisi porta progressi. Beh, vista l’autorevolezza dell’autore della citazione, non ci resta che sperare che sia così. Ma lo si vada a dire agli italiani che questa crisi di governo rappresenta una opportunità, un passo in avanti nel progresso (di questa nazione, si immagina). Un qualcosa che, secondo Einstein, andrebbe benedetto. O forse, più semplicemente, non siamo di fronte ad una scelta; bensì siamo di fronte all’incapacità politica di fare una scelta: quella di scegliere tra il bene del paese e qualcos’altro che con il primo non ha nulla a che fare. Gli italiani tra il chicco di grano ed il superfluo sanno cosa tenere e cosa buttare. Forse, i politici no!